Proprio il giorno successivo all'approvazione del terribile decreto per il recepimento della direttiva europea 2008/51, decreto di cui ancora non si conosce il contenuto definitivo, nella rubrica "Dossier" del Tg2 va in onda un servizio massiccio ed a tratti perfino equilibrato sul mondo delle armi. Il contenuto in sintesi: l'industria armiera italiana è eccellente, i controlli sulla sicurezza (meccanica) sono buoni, sportivamente siamo tra i primi al mondo ma le nostre norme sono troppo liberali, i cacciatori sono tutti degli infami assassini (anche di uomini) e tra le poche persone che usano armi in maniera tollerabile si nascondono milioni di potenziali pazzi ed assassini.
In particolare, riguardo alla normative ed ai dati sulla pubblica sicurezza, vengono intervistati il dott. Edoardo Calabria della Questura di Roma, che si è dimostrato piuttosto moderato rispetto a molti suoi colleghi, e Nicola Tanzi, segretario generale del sindacato autonomo di polizia. E qui casca l'Asino.
Questo Tanzi, intervistato proprio riguardo agli aspetti normativi, dimostra dalle poche cose che dice di non conoscere praticamente nulla di quelle che sono le regole rigidissime in materia, nè di quelle che sono le facoltà concesse dalla Legge ai cittadini ed ai titolari delle diverse licenze esistenti. Ma forse è il caso di leggere le sue parole testuali, interrogato dapprima sul numero di armi circolanti in Italia:
Asinus ex cathedra |
Tanzi: "A noi risultano circa cinque milioni di abitanti in Italia armati, con un possesso... con un complessivo medio sui dieci milioni di armi. E secondo noi è un numero per difetto, perché ci sono alcune autorizzazioni, vedi per esempio la licenza di porto uso venatorio, che permette di detenere non solo un fucile ma cinque pistole e più fucili, quindi aumenta il numero delle armi in possesso degli abitanti."
A parte il fatto che ci ricordavamo che le stime fossero un pochino più sostenute (sui dodici milioni), ma tant'è. Sconvolgente è invece il fatto che un funzionario di polizia, evidentemente tanto brillante tra i suoi colleghi da poterli rappresentare sindacalmente, con una sola affermazioni dimostri di ignorare i limiti alle armi detenibili da qualsiasi cittadino (a prescindere dalla licenza posseduta), il contenuto della licenza di porto d'armi più diffusa nel nostro Paese ed infine le modalità di controllo delle armi. Non sarà male ricordare che un qualunque cittadino, anche sprovvisto di licenze di porto d'armi o di collezione, può detenere infinite armi da caccia (quindi solo lunghe, ex art. 37 L. 157/92), fino a sei armi comuni catalogate come sportive (sia lunghe che corte, ex art. 10 L. 110/75), fino a tre armi comuni in genere (sia lunghe che corte, ex art. 10 L. 110/75) e fino ad otto armi antiche (sia lunghe che corte, ex art. 7 d.m. 14 aprile 1982, n. 153). Qualunque cittadino. Il limite di cinque pistole non sappiamo dire da dove possa averlo ricavato, dato che non esiste nulla di simile nella nostra legislazione. Altrettanto errato è anche il solo collegare le licenze di porto (di qualunque tipo) alla facoltà di detenere armi, dato che queste abilitano solo al porto, al trasporto ed all'acquisizione di queste. La detenzione rimane un diritto di ogni cittadino onesto e sano di mente. Ed infine è scandaloso il fatto che un funzionario di polizia non sappia che tutte le armi detenute (salvo rarissime e giustificate eccezioni riguardanti le armi antiche) debbano essere denunciate dai relativi detentori e che quindi il fatto che una persona detenga più armi non è mai sconosciuto all'autorità di P.S..
Si può però riconoscere da questa frase quello che è l'auspicio del rappresentante sindacale dei funzionari di polizia, ovvero che nessuno possa detenere armi e che chi abbia una licenza di porto di fucile anche per uso di caccia non possa detenere più di un fucile. Pensiero che non può che appartenere a chi ignora totalmente il mondo della caccia o meglio delle cacce (che ovviamente richiedono diverse armi a seconda del tipo).
Infine un appunto è proprio sulla pertinenza della risposta. Interrogato sul numero di armi in Italia, costui avrebbe dovuto rispondere che il numero è sottostimato per via delle armi "dimenticate" da persone che sono morte da decenni e da quelle detenute illegalmente. Ma evidentemente ha preferito lanciare l'ennesimo falso allarme sociale sul fatto che il numero di armi sarebbe sconosciuto perché alcune licenze impediscono all'autorità di conoscere le armi detenute dai cittadini titolari (guardacaso poi proprio i cacciatori!). In parole povere che sono proprio le nostre permissivissime norme ad impedire ai nostri solerti funzionari di tutelare la sicurezza pubblica monitorando la diffusione delle armi.
Difatti la domanda che segue è completamente in linea con questo allarme lanciato e ben recepito:
Giornalista: "La normativa sul porto d'armi ha qualche falla? Quale?"
Notiamo che la seconda domanda sottintende risposta affermativa alla prima. Ma con tutte le scemenze che questo ignorante ha già propinato al giornalista (e questi poi a tutti noi) non ci si poteva aspettare diversamente.
Tanzi: "L'attuale normativa sul porto d'arma secondo noi ha molte falle e va riformata in varie parti anche per ottemperare a delle direttive europea che è molto restringente, è più severa per il rilascio delle porte d'armi ma soprattutto disciplina un tipo di arma che da noi non è mai stata disciplinata, è di libera vendita e di libero porto, e parlo delle armi giocattolo, cioè quelle armi che possono essere modificate."
Questo poi è il massimo dell'incompetenza (o più probabilmente dell'ignoranza). A parte il fatto che la normativa europea è sì diventata più stringente, ma tanto più lo è già la nostra che non ha richiesto di essere adeguata se non per dettagli, rimanendo comunque più restrittiva di quella europea. Ma cosa c'entrano poi i giocattoli con le armi? Queste sono già sufficientemente normate (e col nuovo decreto lo sono ancor di più) ed uno dei requisiti fondamentali che un giocattolo deve avere è proprio quello di non essere trasformabile in un'arma reale. Non è casuale che i giocattoli siano di plastica o al limite di metalli poveri e fragili, mentre le armi sono di acciaio. Proprio perché non devono poter essere trasformati in armi comini da sparo o da guerra, ex art. 5 L. 110/75.
Ed invece questo è proprio il secondo allarme lanciato: in Italia non solo ci sono numerosissime armi nascoste dai cacciatori (ci faranno la rivoluzione?), ma anche migliaia (o milioni?) di giocattoli tranquillamente trasformabili in armi micidiali da chiunque.
Il servizio va avanti mostrando ben più competenti persone (ma anche solo competenti, che già è una bella differenza!) fino a quando non si viene a parlare della tracciabilità delle armi da sparo. Dapprima il giornalista testualmente dice:
"Il sindacato autonomo di polizia lamenta una scarsa informatizzazione a livello nazionale sulla tracciabilità delle armi, in pratica conoscere in tempo reale se una persona possiede o meno delle armi. Notizie diverse ci arrivano invece dalla Questura di Roma:"
E continua invece il dott. Calabria: "Per quanto riguarda la tracciabilità e rintracciabilità delle armi... non è solo tracciabilità ma è anche rintracciabilità perché un'arma non è che segue la vita di un soggetto, un'arma può essere traferita da un soggetto all'altro, quindi noi abbiamo anche i precedenti... quello no, perché è informatizzato assolutamente il sistema quindi in tempo reale noi troviamo... sappiamo tutto dell'arma e tutto del detentore, dell'attuale detentore."
Cosa che corrisponde assolutamente al vero.
Un ulteriore nota che vogliamo aggiungere al servizio è la citazione di una statistica che correla il numero di armi da fuoco (in rapporto agli abitanti) al numero di delitti compiuti con armi da fuoco. Il solito confronto di numeri che porterebbero a concludere che dove vi sono meno armi vi sono meno delitti. Conclusione apparentemente corretta, ma solo a seguito di un'analisi superficiale. Cita infatti la seguente presenza di armi per 100 abitanti:
Stati Uniti = 90
Finlandia = 56
Svizzera = 46
Francia = 32
Canada = 31
Italia = 27
Regno Unito = 4
Seguita dal numero di morti per armi da fuoco ogni 100mila abitanti:
Stati Uniti = 11,3
Finlandia = 4,5
Svizzera = 6,4
Francia = 5,0
Canada = 3,4
Italia = 1,5
Regno Unito = 0,3
Apparentemente dunque nei paesi in cui vi sono meno armi da fuoco vi sarebbero meno omicidi con armi da fuoco. Secondo il dato puramente numerico è così, ma se rapportiamo il numero di delitti al numero di armi otterremo:
Stati Uniti: 11,3/90m = 0,000126
(ovvero 1 morto ogni 7.965 armi)
(ovvero 1 morto ogni 7.965 armi)
Finlandia: 4,5/56m = 0,000080
(ovvero 1 morto ogni 12.444 armi)
Svizzera: 6,4/46m = 0,000139
(ovvero 1 morto ogni 12.444 armi)
Svizzera: 6,4/46m = 0,000139
(ovvero 1 morto ogni 7.187 armi)
Francia: 5,0/32m = 0,000156
(ovvero 1 morto ogni 6.400 armi)
(ovvero 1 morto ogni 6.400 armi)
Canada: 3,4/31m = 0,000110
(ovvero 1 morto ogni 9.118 armi)
(ovvero 1 morto ogni 9.118 armi)
Italia: 1,5/27m = 0,000056
(ovvero 1 morto ogni 18.000 armi)
(ovvero 1 morto ogni 18.000 armi)
Regno Unito: 0,3/4m = 0,000075
(ovvero 1 morto ogni 13.333 armi)
(ovvero 1 morto ogni 13.333 armi)
Dato che mostra come il maggior numero di delitti in rapporto alle armi da fuoco sia in Francia, con 6.400 armi per morto, mentre proprio l'Italia sia il paese con il numero minore, 18.000 armi per morto, ovvero 1/3 di quelli della disarmata Francia. Ed al contrario nel Regno Unito, dove in proporzione vi sono circa 1/7 delle armi che ci sono in Italia, si commettano più delitti con armi in rapporto alle armi detenute, senza contare tutti i casi di delitti compiuti con coltelli, che lì costituiscono una piaga sociale. Ed ugualmente come la Finlandia, seconda in classifica per presenza di armi, si avvicini più al Regno Unito per incidenza di delitti che non agli Stati Uniti.
La conclusione più logica quindi è che la proporzione tra armi e delitti con armi non incrementa in base al solo numero assoluto di armi presenti, ma varia a seconda della "cultura" delle armi che si ha. E che il nostro è il Paese in cui meno si possa venire a parlare di "emergenze sicurezza".
Per fare un paragone basti pensare che in Italia, nel 2007, ci sono stati 5.130 morti in strada a fronte di 50.140.000 automobili circolanti, che si traduce in 1 morto ogni 9.774 automobili. In sostanza, proporzionalmente, per ogni morto "causato" dalle armi ci sono stati due morti "causati" dalle automobili. Eppure non si percepisce tutto questo pericolo come per le armi.
La conclusione più logica quindi è che la proporzione tra armi e delitti con armi non incrementa in base al solo numero assoluto di armi presenti, ma varia a seconda della "cultura" delle armi che si ha. E che il nostro è il Paese in cui meno si possa venire a parlare di "emergenze sicurezza".
Per fare un paragone basti pensare che in Italia, nel 2007, ci sono stati 5.130 morti in strada a fronte di 50.140.000 automobili circolanti, che si traduce in 1 morto ogni 9.774 automobili. In sostanza, proporzionalmente, per ogni morto "causato" dalle armi ci sono stati due morti "causati" dalle automobili. Eppure non si percepisce tutto questo pericolo come per le armi.
Il servizio si conclude poi con una affermazione di buonsenso perfettamente condivisibile e che riguarda molti collezionisti vessati dai funzionari di P.S., come ad esempio chi scrive, a cui viene vietato l'uso delle armi in collezione, sebbene tale divieto non derivi da nessuna norma di legge. Riguardo alla sicurezza delle armi ed all'abitudine al maneggio da parte dei detentori il giornalista domanda a Giuseppe Masino, presidente del T.S.N. di Torino:
"Qual'è la proposta, che sicuramente è di parte, che fate voi?"
Masino: "Ma, certo, la proposta interessatissima è chiaramente è che chi ha un'arma, a qualunque titolo, ovviamente regolare, venga in un poligono per provarla almeno una volta all'anno, perché sappiamo tutti molto bene che armi acquistate venti o trent'anni fa, munizioni di venti o trent'anni fa, possono non aver più l'efficienza necessaria."
E se si dubita, legittimamente, di armi di venti o trent'anni fa, che mai si dovrebbe dire di quelle che gli anni li contano in secoli?
Il nostro spassionato giudizio finale sul servizio, nonostante tutto, non può che essere positivo, anche se sull'argomento "caccia" il problema è stato affrontato in maniera fuorviante. Peccato soltanto per gli intervistati, non tutti proprio all'altezza del loro ruolo. Televisivo e soprattutto sociale.