venerdì 11 novembre 2011

Eliminato il catalogo, ricomincia il terrorismo

Ovviamente il terrorismo a cui ci riferiamo non è quello legato alla politica, alle religioni o alla criminalità. E' più esattamente quello creato da politici, associazioni "anti-armi", funzionari ministeriali e di polizia e giornalisti. Chi per un motivo e chi per un altro. C'è chi ha interesse a far passare il proprio avversario politico come "amico dei criminali e dei trafficanti d'armi", chi vede dovunque favori all'industria bellica, chi deve creare timore sulla Pubblica Sicurezza per poter ottenere norme più restrittive che gli conferiscano maggiori poteri di controllo ed infine chi, semplicemente, diffonde notizie relative a materie oscure affidandosi ingenuamente agli altri individui elencati in precedenza.

La notizia di base è comunque vera: sarà abrogata tramite il "DDL di stabilità" la norma che istituiva il Catalogo Nazionale delle Armi Comuni da Sparo, di fatto eliminandolo dal nostro Ordinamento. Ma questo, nella realtà, cosa comporta? A sentire le notizie e le dichiarazioni che girano fin da ieri sera la situazione sembra prospettarsi terribile.


Scanu (PD): "L’abolizione del Catalogo nazionale delle armi, delle munizioni e degli esplosivi è un atto grave ed irresponsabile. Sotto la copertura di una semplificazione amministrativa per le imprese, lo Stato viene privato di uno strumento indispensabile per classificare e conoscere le caratteristiche tecniche di armi largamente diffuse, per sapere chi le produce, in che numero e a chi vengono vendute. [...] una norma voluta solo dalle lobby ma con effetti devastanti anche nella lotta alla criminalità". Fonte

Della Seta (PD): "il Governo ha deciso una sorta di 'deregulation' delle procedure per il possesso delle armi da sparo, abolendo il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo che dal 1975 consente di controllare armi, munizioni ed esplosivi in circolazione in Italia. E' un colpo di mano indecente, un regalo alle lobby armiere che rischia di liberalizzare il commercio anche di armi pericolose". Fonte

Apprendiamo da Repubblica: "Per le associazioni legate alla rete italiana del disarmo si fa un passo indietro verso il "Far west armiero". 'Così si va verso uno smantellamento del controllo sulle armi leggere e sull'export - ha sottolineato Giulio Marcon portavoce della campagna Sbilanciamoci e aderente alla Rete italiana per il disarmo - l'Italia rischia un passo verso un Far west armiero che può favorire la criminalità organizzata'" e ancora: "Con l'eliminazione del catalogo delle armi da sparo 'liberalizzano il commercio delle armi più pericolose in Italia'. L'allarme arriva dell'Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp) secondo la quale con la cancellazione aumenteranno 'vertiginosamente le spese per il loro controllo, che dovranno essere sostenute dai cittadini'". Fonte

Da Il Messaggero, invece: "E' un regalo alla lobby delle armi, così si liberalizza l'intero settore e si rischia un aumento dei livelli di violenza in Italia" e ancora "'L'abolizione del Catalogo - spiega [il segretario del Silp-Cgil Claudio Giardullo] - fa venire meno uno strumento fondamentale per il controllo della produzione e dell'importazione, e quindi circolazione, delle armi'. Ma non solo. Ha, inoltre, 'un effetto diretto rispetto alla distinzioni tra 'armi comuni da sparò e 'armi da guerra. Il che vuol dire che verrebbe autorizzata una diffusione di quelle armi che hanno un maggiore potenziale offensivo e che ad oggi nel nostro paese non è consentita'. E la cancellazione del registro ha effetti anche dal punto di vista penale. 'Oggi un modello di arma che non è inserita nel catalogo è considerata clandestina e dunque illegale'. Il risultato, conclude Giardullo, 'è una minore capacità di controllo e dunque il rischio di un aumento dei livelli di violenza nel nostro paese'". Fonte

Quello che sostanzialmente si può notare è che un monte di persone si sono accanite su di un argomento che conoscono poco se non per nulla.

Cominciamo da Scanu. Anzitutto il "Catalogo Nazionale dele Armi Comuni da Sparo" è un catalogo di "armi comuni da sparo", non è un caso che sia stato chiamato così. Capiamo dunque che chiamarlo "Catalogo nazionale delle armi, delle munizioni e degli esplosivi" possa conferire un a certa aria di competenza a chi lo pronuncia o lo scrive, ma il catalogo con le munizioni e con gli esplosivi non c'entra proprio nulla. Secondariamente il catalogo è un elenco di modelli, non di singoli esemplari. Conseguentemente, al contrario di quanto afferma Scanu, non ha nessuna funzione al fine di conoscere "in che numero e a chi vengono vendute". Quella è funzione di altri strumenti di Pubblica Sicurezza che non sono stati toccati (e che nessuno con un minimo di sale in zucca si sognerebbe mai di toccare). In definitiva bisogna smentire il tutto: le armi rimarranno sempre e comunque tracciabili e non potrà mai comunque perdersi il controllo su di esse rischiando che finiscano in mano a squilibrati o criminali. Quello che invece è chiarissimo è che per motivi di opportunità politica Scanu si sia precipitato a diffondere un comunicato terroristico senza avere minimamente idea di quello di cui stesse parlando.

Della Seta mostra la stessa incompetenza del collega. Anche lui si sbilancia inseguendo controlli che non competono al Catalogo, liberalizzazioni e lobby varie.

Passiamo poi alla "Rete per il disarmo". Anche loro cominciano evocando il fantasma retorico del "far west", ovvero l'assenza di leggi che permetterebbe a chiunque di armarsi e di farsi giustizia da sé. Ma, come vedremo in seguito nel dettaglio, ciò risulta assolutamente falso. Intanto ci limitiamo a dire che l'abolizione del Catalogo non comporta assolutamente modifiche nel sistema di acquisizione e di trasferimento delle armi, ovvero potranno essere acquistate solo da persone munite di licenza (porto d'armi o nulla osta del questore). Ripetiamo quanto detto in precedenza riguardo al presunto "smantellamento del controllo sulle armi leggere e sull'export": nulla cambia in materia di acquisizione, trasferimento, importazione, esportazione, detenzione, porto, trasporto et cetera in quanto il Catalogo mai ha avuto funzione riguardo al controllo interno delle armi in circolazione né tantomeno riguardo all'esportazione, dato che il Catalogo incide unicamente sulla produzione e l'importazione delle armi comuni da sparo. Eccellente esempio di ipnosi è il comunicato emesso dalla "Rete per il disarmo" (www.disarmo.org/rete/a/35034.html) tramite una valanga di informazioni in cui si parla di molto ma non si dice niente.

Infine bisogna commentare le affermazioni dei sindacalisti di Polizia. Da loro ci si aspetterebbe una conoscenza approfondita della materia, dato che, in fondo, si tratta del loro lavoro e della nostra Sicurezza. Eppure anche loro cominciano annunciando la già sentita e smentita "liberalizzazione" del settore con conseguente "aumento della criminalità". Secondo il sig. Giardullo, poi, addirittura sarebbe autorizzata "una diffusione di quelle armi che hanno un maggiore potenziale offensivo e che ad oggi nel nostro paese non è consentita". Strano a dirsi, in quanto ciò che stabilisce se un'arma è consentita è la Legge, non il Catalogo. E sebbene il Catalogo sia (quasi) stato eliminato non lo sono le norme che permettono di distinguere le armi "consentite" da quelle "proibite", che rimangono dunque in vigore e come verdemo sono chiarissime. Esilarante poi l'ultima lezioncina: "Oggi un modello di arma che non è inserita nel catalogo è considerata clandestina e dunque illegale". Peccato che chi l'abbia pronunciata non si ricordi che sono sottoposte a catalogazione solo le armi da sparo a canna rigata prodotte o importate dopo il 1975, con esclusione di quelle ad avancarica. Ovvero non sono mai state catalogate, né vi è stato l'obbligo, tutte le armi da sparo a canna liscia e quelle prodotte o importate prima del 1975, che insieme cosituiranno approssimativamente i due terzi delle armi detenute in Italia. Ovvero la maggior parte delle armi in Italia sono sempre state controllate a dovere sebbene mai catalogate. Due cose lascia intendere quest'ultima affermazione: la prima è che chi dovrebbe garantire la nostra Sicurezza ignora le leggi che dovrebbe far applicare (ma si permette prepotentemente di mettervi bocca); la seconda è che tutta questa polemica è assolutamente pretestuosa e finalizzata a scopi ed interessi di categoria, mentre la pratica dimostra che la realtà è differente da quanto annunciato e che il sistema di gestione che si prospetta per il futuro è già parzialmente in atto senza alcun pregiudizio della Pubblica Sicurezza.

Possiamo ora passare ad una analisi delle norme per capire realmente la portata di questa novità.

Il Catalogo Nazionale delle Armi Comuni da Sparo nasce nel 1975 ed entra in funzionamento solo nel 1979. Ha come scopo l'elencazione di tutti i modelli di armi da sparo esclusi definitivamente dalla categoria delle "armi da guerra", dopo l'esame di una apposita commissione (la Commissione Consultiva Centrale per il Controllo delle Armi, d'ora in poi CCCCA) e la catalogazione è la condizione affinché da quella data in poi, un'arma possa essere prodotta o importata (art. 7 L. 110/75), ad eccezione di quelle a canna liscia e di quelle ad avancarica. Ciò significa che però tutte le armi prodotte o importate precedentemente o quelle ad anima liscia non sono sottoposte all'obbligo di catalogazione. Eppure fino ad oggi non vi è mai stato nessun problema a tracciare correttamente tutti gli spostamenti di ciascuna di queste armi, che sono la maggior parte di quelle in circolazione in Italia.

Nel Catalogo per ogni modello di arma sono indicate alcune caratteristiche che gli esemplari prodotti o importati devono mantenere, in particolare la lunghezza totale, la lunghezza della canna, il calibro, la capienza del serbatoio et cetera. Modificare un esemplare in modo che non risponda più a tali caratteristiche potrebbe configurare in alcuni casi una alterazione di arma (art. 3 L. 110/75).

Già in partenza l'iniziativa è stata molto criticata: ammetterete che creare un infinito elenco di armi consentite (attualmente più di 19mila, in costante aumento) a fronte di un numero ridottissimo di armi da guerra (poche decine i rifiuti di catalogazione) è semplicemente folle. Come se imbarcandovi in aereo vi facessero un elenco infinito di tutto quello che potete fare (pensare, parlare, scrivere, grattarvi il mento, pettinarvi le sopracciglia, sorridere, scaccolarvi, controllarvi le unghie, sbadigliare, controllare l'ora, fissare il sedile davanti a voi et cetera) invece di dirvi più semplicemente che non potete utilizzare telefoni cellulari e strumenti elettronici. Ebbene questo è proprio il principio su cui il Catalogo si basa.

Quello che bisogna invece chiarire definitivamente è che il Catalogo non ha nulla a che vedere con la tracciabilità delle armi o la loro facilità di acquisizione. Tutto quanto riguarda questi argomenti è regolato dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza (artt. 35 e 38), prevedendo ieri come domani che per acquisire un'arma occorra una licenza (porto d'armi o nulla osta del Questore) e che la detenzione sia subordinata alla denuncia all'Autorità di Pubblica Sicurezza.

Nel tempo il catalogo è divenuto oggetto di discussione anche per via del fatto che, tramite i ritardi ed i rifiuti di iscrizione, è stato strumentalizzato dal Ministero dell'Interno per concentrare su di sé poteri di cui non dispone (ad esempio dettare le caratteristiche delle armi ben oltre quello che la Legge prevede) ed influenzare il mercato interno. Attualmente risulta rifiutata l'iscrizione di diverse armi che per legge non sono da guerra, ma che comunque non essendo catalogate non possono essere prodotte o importate.

Difatti già esistono disposizioni normative che definiscono esattamente le "armi da guerra" (art. 1 L. 110/75 ed art. 2 L. 185/90) ed è sulla base di queste due norme che devono essere iscritte o rifiutate le armi per cui si faccia richiesta. Cosa che ovviamente non accade.

Il Catalogo si è dimostrato dunque uno strumento inutile, usato per fini di terzi e dai costi insostenibili. Ricordiamo infatti che, oltre ai danni alle imprese ed ai cittadini, la sua gestione costa a tutti noi circa 20 milioni di euro all'anno. E se pensiamo che oltretutto è da più di un anno che non è nemmeno consultabile per "momentanea manutenzione", c'è da domandarsi se questi soldi non sarebbero più utili per altri scopi che non per ingrassare i burocrati.

Forse però l'eliminazione del Catalogo in questa maniera non è la soluzione migliore. Certamente tutti i problemi sono risolvibili, però l'eliminazione pura e semplice del Catalogo senza tutti gli aggiustamenti normativi che questa variazione comporta lascerà sicuramente spazio al ministero per inserirsi forse ancora più efficacemente di prima. Insomma potrebbe rivoltarsi contro chi, da anni, si batte per l'eliminanzione del Catalogo. E soprattutto perché "approfittare" di un momento di emergenza per far passare un provvedimento di questo tipo, per quanto giusto e sacrosanto, consente ai "signori" di cui sopra di sbizzarrirsi con teorie di complotti, lobby e favori ai criminali, alimentando la non-conoscenza dell'uomo comune per i propri fini. Passando oltretutto per bravi cittadini che vogliono salvare la Nazione. E sicuramente non è di questo che c'è bisogno.

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