domenica 22 luglio 2012

"Vuoto normativo", la celebrità del momento

E' dal novembre scorso, ovvero dalla notizia dell'eliminazione del catalogo, che si ciarla tanto a proposito di un famigerato "vuoto normativo" che tale abolizione avrebbe causato. Come si può vedere dalle terroristiche dichiarazioni iniziali rilasciate in particolare dai senatori Scanu e Della Seta (entrambi PD), dai rappresentanti delle associazioni disarmistiche e perfino dai rappresentanti sindacali dei funzionari di polizia, successivamente riprese e diffuse vergognosamente senza alcuna verifica da tutti gli organi di stampa, le preoccupazioni iniziali erano di un tipo ben definito: a dir loro l'abolizione del catalogo non avrebbe consentito di distinguere le armi comuni dalle armi da guerra e ci sarebbe stata una liberalizzazione delle seconde. Taluni addirittura paventavano una liberalizzazione totale o, confondendo il catalogo coi registri della P.S., annunciavano la perdita del controllo sulle armi in circolazione. Alcuni ancora più maliziosamente vollero perfino correlare alcuni spiacevoli fatti di cronaca all'abolizione del catalogo, addirittura prima che esso fosse effettivamente abolito. Stomachevole.

E nulla di tutto quello che si era detto in proposito era vero. Personalmente, e con le più ampie argomentazioni, chi scrive si era  allora prodigato assieme ad altri al fine di ristabilire la Verità che era stata a dir poco violentata dalle dichiarazioni dei suddetti e da chi le ha diffuse senza verificarne l'esattezza. Probabilmente
con risultati deludenti. Già, perché il cittadino comune, l'uomo della strada, a chi dovrebbe dare più ascolto quando si parla di temi così delicati e che egli ignora completamente? Ai senatori della Repubblica ed ai funzionari integerrimi del ministero dell'interno o piuttosto alle voci isolate di qualche armigero mattacchione evidentemente interessato e probabilmente in malafede? Che domande... ai primi, ovviamente, i quali possono vantare in loro favore la competenza che non potrebbero non avere, ricoprendo i ruoli che ricoprono.

Successivamente, il primo gennaio, la L. 183/2011 è entrata in vigore ed il catalogo è stato eliminato. Contrariamente a tutto quello che era stato preannunciato l'apocalisse non si è verificata. Nessun "far west", altra espressione cara a molti; nulla. Tutto è continuato normalmente.

Tutto? Beh, non proprio tutto. Era ovvio che al ministero l'abolizione del catalogo non sarebbe andata giù e che qualche tiro birbone lo avrebbe tentato per riprendersi il suo giocattolino, per noialtri solo un costoso ed inutile onere burocratico, ma per il ministero un efficientissimo mezzo repressivo e di controllo del mercato interno. Spesso in favore di alcuni ed in sfavore di altri.
Fu così che la maggior parte delle Questure smise di concedere licenze di importazione. Per armi già catalogate, per armi non catalogate, per le armi a canna liscia, per le armi già bancate all'estero, per tutto. Da gennaio ben poca roba ha avuto il permesso di entrare. La scusa ufficiale è: ora che non c'è più il catalogo come facciamo a sapere se un'arma è comune o da guerra?
Domanda sciocca: invece di doversi riferire ad un elenco di modelli è sufficiente che la Questura interessata valuti se le armi per cui si è richiesta la licenza sono comuni in base alle specifiche dichiarate dall'importatore. Caso per caso, ma non è per nulla un lavoro difficile. Occorrono difatti poche caratteristiche dell'arma per capire, senza dubbio, se sia da guerra o al contrario comune: tipologia, calibro e sistema di funzionamento. Basta poi conoscere la Legge (quell'insieme complesso di parole raccolte in libroni) ed in particolare tre articoletti banali: gli artt. 1 e 2 L. 110/75 e l'art. 2 L. 185/90. Si capirà quindi che le armi a canna liscia sono tutte comuni ad eccezione di quelle automatiche e che le armi a canna rigata sono certamente comuni se in calibro non maggiore di 12,7mm e non automatiche anch'esse. 
Vuoto normativo o vuoto mentale?
E allora la distinzione è immediata. Arriva un'istanza per una mitragliatrice o per un fucile automatico d'assalto? Sono da guerra, nulla da fare; istanza rigettata. Arriva invece un'istanza per una carabina a catenaccio in .308 o per una doppietta o per una pistola semiautomatica calibro .45? Sono comuni, nessun dubbio, nessun problema; licenza concessa. Complicato? Beh, al ministero parrebbe proprio di sì.

Tenta quindi, il nostro amato ministero, un'altra strada: era l'inizio di febbraio e cominciò a girare una bozza di circolare con la quale di fatto veniva reistituito il catalogo tramite l'obbligo per gli importatori ed i produttori di consegnare al ministero una scheda tecnica delle armi per l'accertamento della qualità di arma comune da sparo contentente una serie di informazioni assolutamente inutili al fine dell'accertamento detto, a cominciare dalle fotografie, e continuando a vincolare gli importatori ed i produttori alle limitazioni imposte dalla CCCCA alle armi catalogate. Infidamente tutto ciò veniva giustificato sulla base di una sentenza della S.C. del 1981 (!), assolutamente controcorrente rispetto alla giurisprudenza attuale e, soprattutto, proveniente da un contesto normativo differente, giacché precedente la detta L. 185/90 che, all'art. 2, ha chiarito definitivamente che le uniche armi da guerra sono quelle completamente automatiche. Una svista? Non sapremmo, quel che è certo è che bisogna scegliere se definirli ignoranti o deficienti. E considerando che si parla di funzionari ministeriali la cosa è quanto meno desolante, in ogni caso.

Salgono le proteste e sale, soprattutto, la consapevolezza dei ministeriali che chi metterà la firma in calce a quella circolare passerà i guai grossi. Così la circolare viene stralciata, non se ne fa più nulla.

Ma intanto gli importatori continuano ad essere bloccati. Pochi mesi più tardi, come un miraggio, giunse da più parti la notizia che il ministero sarebbe stato prossimo all'emanazione di una circolare in cui dava ordine ai Questori di rilasciare le licenze di importazione, anche per le armi non catalogate; era l'inizio di giugno e la notizia fu accolta ovviamente con grande gioia. Poco più di una settimana dopo, però, arrivò una notizia più fondata della precedente: era l'annuncio di quello che sarebbe diventato il tristemente noto decreto 79/2012, entrato in vigore il 21 giugno come una secchiata gelida per raffreddare l'estate incipiente.

Il resto lo conosciamo e non ha bisogno di ulteriori racconti. Contestazioni da tutte le parti, fino alle iniziative più disparate e a parere di chi scrive non sempre opportune. E fortunatamente, dopo il concreto rischio di veder peggiorare le cose anche tramite emendamenti tutt'altro che geniali, durante la fase finale della discussione in Senato la parte del decreto relativa alle armi viene completamente cancellata. Ma non solo.
Con una inaspettata dimostrazione di competenza e risolutezza, il Senato, tramite un odg, ordina al governo ed al ministero di sbloccare la situazione sulla base della Legge attuale, che è ben più che sufficiente per la risoluzione di tutti i problemi inventati dal ministero.
E qui accade quello che non ti aspetti: mentre tutti son felici del risultato quasi insperato, l'ANPAM, anche "confondendosi" riguardo alle competenze del BNP, se ne esce con un comunicato nel quale si augura che il governo, tramite nuove norme, voglia risolvere la situazione. Situazione che, ripetiamo per l'ennesima volta, è causata dal solo ministero dell'interno, non da norme incongruenti o inadeguate. E non manca chi ha il coraggio di appoggiare una simile richiesta. Dal canto nostro
abbiamo già fatto notare quanta ignoranza fosse necessaria per presentarla o sostenerla, ma solo successivamente son saltati fuori gli altarini.

Parrebbe infatti che una tale richiesta da parte dell'ANPAM sia scaturita dalla quasi esplicita presa di posizione del ministero, il quale avrebbe fatto intendere che finché le norme non cambieranno non rilascerà più licenze di importazione. Lo scopo è infame e sfacciato: creare ad arte una situazione di disagio alle estreme conseguenze, di modo da rendere necessario un cambiamento normativo.

E' quindi chiarissimo come il ministero, non potendo accettare di aver perso un potere che aveva costruito ed aumentato nei decenni, abbia scelto di infrangere la Legge per ricattare il settore prima ed il governo poi. D'altronde è l'unica cosa che gli sia rimasta da fare: tutte le menzogne sulle conseguenze dell'abolizione del catalogo sono state smentite dal tempo, dal non-verificarsi di tutte le drammatiche situazioni che politici, funzionari e giornalisti avevano annunciato. In sette mesi di assenza del catalogo i crimini non sono aumentati, le armi continuano a girare sempre tra le stesse persone con licenza, la P.S. continua a conoscere vita morte e miracoli di ogni singola arma. Chi mai crederebbe ancora a tutte quelle schifezze propinate per creare il panico? E' evidente, quindi, che il ministero, accortosi che uno degli spauracchi non ha sortito l'effetto (che sarebbe stato quello di obbligare a furor di popolo il governo a ripristinare immediatamente il catalogo), abbia deciso di uscire esplicitamente dalla legalità per prendere per il collo il settore.


Si inventa quindi nuove procedure completamente fuori di logica. Richiede addirittura che il BNP attribuisca un codice alle armi senza che le abbia viste, per concedere in un secondo tempo la licenza di importazione. Peccato che, secondo lo stesso decreto preparato dal ministero, il BNP non possa attribuire nessun codice se prima non ha provato le armi, le quali devono quindi essere già sul territorio nazionale e certo non possono entrarvi se il ministero non ha già concesso la licenza!

E che dire allora di tutte le armi a canna liscia importate in precedenza? Nessuna è mai stata catalogata (ad eccezione di una su cui è meglio non soffermarsi) eppure sono sempre state importate e prodotte. Non c'era vuoto normativo per esse?
E le armi provenienti dall'Unione Europea, come possono esistere dubbi sulla loro qualifica comune se lo Stato che ne autorizza l'esportazione la autorizza in quanto tali ai sensi della direttiva europea 477/91, ratificata anche in Italia?
E quelle passate per i banchi CIP riconosciuti? Non sono mai passate per il BNP e non devono tuttora, col decreto 79/2012 in vigore. Come mai prima si potevano importare ed ora no?
E prima del 1979, anno in cui è stato introdotto il catalogo? Prima del 1979 in Italia non si producevano o importavano armi? 

Il silenzio è l'unica risposta che attende chi pone certe domande, ma dice abbastanza.

Eppure ciò che personalmente più ci schifa non è l'agire del ministero, che criminale è sempre stato e criminale ancora una volta si dimostra, ma la remissività di alcune imprese, paragonabile all'omertà di chi viene reso vittima dalla mafia ma non ha il coraggio di uscire allo scoperto. Esempio assolutamente non fuori luogo, dato che il ministero sta agendo a tutti gli effetti come una mafia, una mafia nello Stato, che estorce alle imprese l'accettazione del suo controllo totale ed illegale.

Perché le imprese non denunciano il ministero per la mancata risposta alle istanze che giacciono da cinque, sei o sette mesi sui suoi tavoli, quando il termine stabilito dalla Legge è di 90 giorni (che sono comunque un tempo abbondante per dover rispondere con un "sì" o con un "no" ad una domanda che contiene già la risposta)? Perché si limitano a stare zitte o borbottare tra i denti, quando non si mettono addirittura ad affiancare il ministero nelle sue estorsioni?

E allora, dopo la retorica minaccia del "far west" svanita nel nulla, ecco che oggi ci tocca sopportare la retorica minaccia del "vuoto normativo" che bloccherebbe le importazioni e la produzione. E non sono poche le persone che, a forza di sentirne parlare,  si stanno convincendo seriamente della sua esistenza. Non sanno cosa sia, non sanno come possa essersi determinato, non sanno illustrarlo motivatamente, ma cominciano a crederci.

Chiaro, concludendo, cosa sia questo "vuoto normativo"? Non una conseguenza di qualcosa, non una situazione, non un problema reale, ma uno strumento. Uno strumento inventato e diffuso con scienza per giustificare l'ennesima limitazione dei diritti dei cittadini; adesso anche col supporto di un consorzio di oligopolisti.

Che ci vengono ad offrire l'ottimo bicchiere di vino contente poche gocce d'un terribile veleno. Meglio tenersi la sete.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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